Perché i progetti di digital marketing B2B falliscono

Perché i progetti di digital marketing B2B falliscono?

di Davide Marasco - 22 giugno 2023

Mi capita molto spesso di entrare in contatto con aziende che si avvicinano al digitale con aspettative diametralmente opposte: chi lo vede come una via salvifica verso la crescita aziendale, chi invece lo affronta con i piedi di piombo, intendendolo come qualcosa che “va fatto perché nel 2023 non si può non essere online”.

Questa dicotomia di approccio spesso porta a delle attese che influenzano negativamente lo sviluppo delle attività online in svariati modi: dalla lettura degli indicatori sbagliati al susseguirsi di stop and go che comportano gravi problemi nello sviluppo delle attività.

Ho contribuito direttamente allo sviluppo di più di un centinaio di progetti. Fortunatamente gran parte ha avuto esito positivo, ma ovviamente degli insuccessi in questi anni si sono verificati.

 

Cosa vuol dire che un progetto di digital marketing fallisce?

Per dare una definizione chiara di cosa intendo per “fallimento” partiamo dal senso delle parole.

Vogliamo intendere la parola “marketing” nella sua accezione più ampia come “l’arte di modificare i comportamenti delle persone”: le persone stesse compiono determinate azioni spinte da precise consapevolezze e le attività di marketing servono a modificare le loro credenze per influenzarne i comportamenti. Può trattarsi di un cambio di abitudine o nella maggior parte dei casi dell’acquisto di un bene o servizio.

Quindi possiamo dire che un progetto fallisce quando le attività di marketing digitale non contribuiscono a un effettivo cambio di comportamento dei nostri clienti.
Questa specifica è fondamentale perché molto spesso si confonde la comunicazione con il marketing: ma mentre la prima è meccanica, il secondo non lo è.

Parlo di meccanica perché oggi comunicare con un determinato target è diventato un processo estremamente codificato. Basta definire il miglior media dove poter segmentare il proprio target:

  • LinkedIn se si segmenta in base alla professione
  • Facebook o Instagram se si segmenta in base alla passione e agli interessi
  • Google in base ai bisogni

Si inserisce la carta di credito sulla piattaforma scelta e in base al budget impostato un certo numero di utenti verrà a contatto con l’annuncio. Facile, no?
Far sì che questa comunicazione stimoli un’effettiva azione dell’utente è però tutta un’altra cosa.

Un progetto di marketing digitale fallisce quando nel medio-lungo periodo non produce alcuna ricaduta sugli effettivi comportamenti delle persone.

 

Quali sono le principali cause?

Negli anni ci accorgiamo sempre di più di come molte delle cause siano simili e si ripetano.
Il dettaglio sorprendente è che nessuna di queste ha a che vedere direttamente con i canali digitali!

Vediamo qui le 6 principali cause che abbiamo riscontrato:

2. Il problema spesso è all'interno, non all'esterno

Questa è una delle problematiche che mi ha sempre colpito per la sua ricorrenza.

Fare digital marketing nel mondo B2B richiede un profondo allineamento tra marketing e vendite: il marketing genera la domanda e il sales la soddisfa. Quest’equilibrio non è per nulla facile da portare in azienda e vede nella gestione delle lead il momento topico del disallineamento.
Se avessi un euro per ogni volta che ho sentito la frase “noi passiamo le lead ma poi non sappiamo cosa succede” starei scrivendo questo articolo da una spiaggia caraibica. Molto spesso reparti che per anni hanno lavorato in parallelo, oggi si trovano a dover lavorare a stretto contatto con metriche e indicatori condivisi. Per chi volesse approfondire il tema del lead management consiglio questo articolo Lead management di successo: come si fa davvero.

2. Chi sono veramente i vostri buyer?

Il primo passo di qualsiasi progetto di digital marketing B2B è sedersi intorno a un tavolo e definire con precisione come avviene il processo di acquisto e chi sono le buyer persona: quante sono? Come lavorano tra di loro? Che obiettivi hanno? Definire in maniera chiara quali sono i problemi dei vostri buyer e come li aiutate a risolverli è fondamentale.

Credetemi quando vi dico che benché sembri un tema assolutamente evidente ho trovato raramente unanimità all’interno dell’azienda nel definire i buyer. In moltissimi casi, l’attenzione è sempre verso il proprio prodotto o servizio e molto poca ne viene dedicata per capire l’effettivo impatto che questo ha sulle persone a cui lo vendiamo. Se la risposta non è così chiara nella vostra esperienza, allora il digitale può servirvi come potente strumento di test per capire rapidamente come ognuno risponde ai vostri stimoli. Ma certo non dovete aspettarvi un ritorno nell’immediato.

3. Vietati i doppi salti mortali

Il mercato B2B italiano è straordinario! Entro continuamente in contatto con bellissime aziende che hanno un ufficio Ricerca e Sviluppo sempre attivo e lanciano continuamente soluzioni nuove, innovative e pronte per rispondere ai bisogni del mercato. Attenzione però, che se ci si avvicina ad un canale nuovo, come l’online, con un prodotto nuovo ancora non testato commercialmente il rischio è di confondere i dati e non capire se il problema stia nel prodotto o nel canale.

Questo è uno dei pochi casi in cui la reputazione dell’azienda gioca a sfavore: capita infatti molto spesso che i clienti dell’azienda si fidino talmente tanto della stessa da essere ben disposti ad acquistare altri prodotti della stessa più basandosi sulla fiducia che sull’effettivo need. Approcciarsi a un cliente che non vi conosce è invece tutt’altra storia. Meglio iniziare da prodotti commercialmente collaudati in modo da validare un fenomeno per volta.

4. Quanto conoscete l’effettiva “domanda” per le vostre soluzioni?

La domanda per un bene o servizio è una dei temi centrali di qualsiasi studio economico.

Valutarla però su soluzioni innovative e di frontiera è spesso molto complicato ed è un’attività molto spesso trascurata dalle aziende B2B. La domanda da porsi è semplice: vi trovate davanti a uno scenario di domanda manifesta, ove i vostri buyer sono consci che esiste una soluzione specifica ai loro problemi e la ricercano attivamente? Oppure i vostri buyer percepiscono il problema in maniera più o meno chiara ma non sanno di poterlo risolvere? La risposta con tutte le sue sfumature a questa domanda cambia radicalmente la strategia da adottare nel digitale.

5.I buyer non fanno mai passi troppo lunghi

Trovo che la definizione di Buyer journey sia estremamente efficace per descrivere effettivamente come avviene il processo di acquisto, perché proprio come in un viaggio i vostri buyer un passo alla volta si avvicinano a voi, con passi di consapevolezza minuti, tendendo ad evitare grandi passi. Il lavoro del marketing è quello di costruire un percorso di contenuti che piano piano li accompagnino da voi, ma sempre rispettando la legge del passo corto. Immaginatevi un percorso classico:

  1. Il buyer trova un vostro articolo interessante su LinkedIn e lo legge con interesse
  2. Decide di approfondire il tema scaricando un White paper
  3. Grazie alla newsletter mensile si iscrive a un webinar dove viene presentato un caso di studio
  4. Partecipa al webinar attivamente facendo domande

Alla fine del webinar il nostro buyer sarà sicuramente molto interessato alla soluzione che voi proponete ma molto probabilmente sarà calato in un contesto di scelta molto complesso: colleghi da convincere, budget da identificare etc. Da questo suo interesse all’acquisto di un prodotto o un progetto da diverse decine di migliaia di euro che richiede molto impegno da parte dell’azienda c’è un passo estremamente lungo, che rischia di inciampare sugli elementi del contesto di cui sopra. Il rischio in questo caso sarebbe quello di ricevere un “No” e di rompere la relazione con un potenziale prospect da dover ricostruire a distanza di un anno o più, con tutte le difficoltà del caso. Molto diverso sarebbe invece avere a disposizione una soluzione molto più “leggera” da un punto di vista economico e di impegno, un POC (Proof of concept) che dimostri in piccolo i risultati che possono avere. Questo porterebbe a:

  • Creare una reale relazione con il buyer
  • Conoscere altre persone nell’azienda
  • Dar prova delle proprie competenze
  • Dimostrare con KPI reali il beneficio potenziale che potete generare all’azienda

Iniziare un progetto di Digital Marekting B2B senza una soluzione entry level a volte rischia di essere molto pericoloso e di non capitalizzare al massimo le azioni fatte online.

6. Creare una media company non è facile

Viviamo in un momento storico dove l’attenzione delle persone è un bene estremamente complesso e difficile da intercettare. ognuno di noi da quando si sveglia al mattino a quando va a dormire è soggetto a decine di diversi stimoli. L’unico modo per attrarre l’attenzione di un potenziale prospect è creare contenuti memorabili in grado di generare valore e di attrarre costantemente la loro attenzione. Da qui il concetto che vorrei sottolineare: ogni azienda deve diventare una media company.

Il problema è che diventare una media company richiede un cambio di paradigma importante, smettere di comunicare di noi e iniziare a comunicare per i nostri prospect per fornire loro del valore. Questo passaggio è complesso e richiede sia una corretta strategia di pianificazione iniziale sia un team di esperti in grado di creare e distribuire questi contenuti con costanza nel tempo. Attivare questa macchina non sempre è semplice e molto spesso è difficile farlo in modo costante nel tempo.

Gli ostacoli come abbiamo visto possono essere numerosi, nessuno invalicabile ma tutti da prendere in considerazione prima di iniziare con le attività online; quindi, la domanda quando si inizia non è quale sia il social media più adatto o altre, ma quanto la vostra azienda sia effettivamente pronta al digitale.

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