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Come Squid Game ci spiega il Content Marketing

di Stefano Buzzotta - 18 novembre 2021

È nei top trend del 2021 e sulla bocca di tutti, incontrastato campione dei social e nuovo fenomeno di culto chiacchieratissimo: si tratta deContent Marketing.

Ovviamente no. Stiamo parlando della serie tv rivelazione dell’anno, la coreana Squid Game, monopolizzatrice del vorace pubblico televisivo e dei meme del web. Nove puntate che vanno giù tutte d’un fiato in una spirale di tensione e spietato dramma sapientemente messo in scena. 

Eppure, a ben vedere il fortunato prodotto di Netflix e una buona strategia di Content Marketing hanno da spartire ben più di quanto possa sembrare all’osservatore distratto. E, attenzione, non parliamo della promozione della serie, di per sé basata su ovvi principi di marketing; no: il parallelismo che cercheremo di tracciare si addentra nei meandri della trama stessa di Squid Game. 

Poniamoci nei panni di Front Man, il misterioso organizzatore del gioco al centro delle vicende. Noi siamo lui, e dobbiamo escogitare la miglior strategia di contenuti possibile. Da dove si parte? Tiratevi su il cappuccio e seguiamolo. 

 

Sotto la maschera della Buyer Persona 

Prima regola: non si parla a tutti. Chiunque voglia elaborare una strategia di Content Marketing ben strutturata sa perfettamente che la prima questione da considerare è a quale pubblico ci stiamo rivolgendo. Front Man ne è consapevole: e infatti il suo gioco nasce per rispondere a delle esigenze precise di un’audience altrettanto precisa. 

VIP, viscidi e annoiatissimi spettatori del gioco, sono il target del padrone di casa, che per compiacerne gli squilibrati desideri li studia. Ne individua problemi, esigenze, obiettivi e offre loro una via d’uscita: il gioco, appunto. 

Allo stesso modo, il Content Marketer deve partire dalla Buyer Persona, e una volta che ne ha studiate a fondo caratteristiche e necessità, può ragionare sul tipo di contenuti da proporre per catturarne irrimediabilmente l’attenzione. Per farlo, fondamentale il focus sul Tone of Voice da adottare: Front Man è coreano, ma i VIP anglofoni. Naturale quindi che, come si vede nella serie, si rivolga a loro in inglese.  

 

L’ispirazione è nelle viscere 

Ci siamo: sappiamo a chi parlare e (forse) come parlare. Introduciamo un altro enorme pilastro, con tutti i suoi potenti interrogativi: di cosa parliamo? 

Da dove nascono i contenuti che daremo in pasto ai nostri VIP? Proprio da loro, dal nostro pubblico. Come emerso anche dall’Inbound 2021 di Hubspot, la Buyer è e deve essere sempre di più il punto di riferimento e il punto di partenza. Mettersi nei panni di chi vogliamo ci legga, intercettare le ricerche in rete: i VIP vogliono il sangue e la disperazione? Diamo loro il sangue e la disperazione. 

E allora giocoforza andiamo a pescare nelle metropolitane di Seul i disperati con debiti da miliardi, semplici da coinvolgere in un gioco spietato. Ma prendiamone tanti, molto diversi tra loro: donne, delinquenti, padri di famiglia, operai, affaristi. Vale lo stesso discorso per i nostri contenuti: mettiamoci nell’ottica di produrne tanti e vari. Articoli più o meno lunghi, contenuti scaricabili, casi studio, video, podcast. E cerchiamo l’ispirazione, se non abbiamo tempo di andare nella metropolitana di Seul, altrettanto in profondità: studiando il mercato, consultando letteratura di settore, esplorando la SERP e le parole chiave, guardando cosa fanno gli altri. Un po’ per ispirarsi e un po’ per cercare di stare un passetto avanti. 

 

Di gioco in gioco 

Abbiamo capito a chi dobbiamo parlare e abbiamo la materia grezza di cui parlare, diversificata e su misura per la nostra (o le nostre) Buyer Persona. Ma un contenuto solo, per quanto memorabile, non serve a nulla. 

Ciò che Front Man pone di fronte al suo pubblico ha una struttura precisa e ben delineata: è un vero e proprio percorso in cui ognuno degli elementi di cui sopra ha una collocazione specifica. Dal primo all’ultimo gioco, da Un due tre stella al Gioco del Calamaro che dà il nome alla serie, lo spettatore è coinvolto in un vero e proprio journey in cui a crescere è la tensione e a diminuire sono i partecipanti. Una buona strategia di Content Marketing prevede esattamente questo: organizzare tutti i contenuti secondo un percorso preciso atto a intercettare la Buyer nelle varie fasi di avvicinamento. E se i primi giochi sono più di scenario (quella che chiamiamo fase di Awareness), come un enorme Un due tre stella giocato da 456 partecipanti in uno sterminato cortile, più il percorso procede più l’imbuto si assottiglia, approfondendo soluzioni, pratiche, vantaggi. 

Vietatissima però l’autoreferenzialità: fondamentale è offrire contenuti di qualità che non raccontino (almeno per i primi due terzi del percorso) quanto siamo bravi a fare qualcosa, ma vadano incontro ai problemi della Buyer offrendo una potenziale soluzione. 

E se tutto è esposto in maniera chiara, scorrevole, ingaggiante, non sarà difficile avere l’attenzione dei VIP. A maggior ragione se nei nostri contenuti troveranno qualcosa di familiare, ma con un tocco in più: cosa c’è di meglio degli arcinoti e rassicuranti giochi della nostra infanzia, ma ammantati di una bella sfumatura crudele e raccapricciante? 

Infine, non dimentichiamo di legare al meglio i nostri contenuti: per scorrere con naturalezza da un gioco all’altro, costruiamo un vero e proprio ecosistema di link interni e inseriamo le call-to-action. L’obiettivo è far scivolare lungo il percorso le nostre Buyer assecondandone in modo naturale la propensione a volerne sapere sempre di più, a voler sapere come va a finire. Come finisce il gioco, per i VIP; come risolvere il problema, se parliamo delle nostre Buyer. 

 

Di vetri e di dati 

Strategia e analisi vanno sempre a braccetto, e le strategie di Content Marketing non fanno eccezione. L’analisi dei dati è un compagno irrinunciabile a monte del nostro percorso, ma lo è clamorosamente anche durante il percorso. Tenere d’occhio le performance, capire cosa funziona meglio, quali contenuti appaiono più efficaci, quali sembrano proprio non funzionare: fondamentale per creare un journey che funzioni e in costante evoluzione. È esattamente quello che fa il lugubre burattinaio di Squid Game: accortosi, tramite analisi dati, che uno dei concorrenti rischia di rovinare il gioco per via delle sue pregresse conoscenze sul mondo dei vetri, cambia le regole in corsa e salva la precaria attenzione dei VIP. E pazienza se il contenuto (il gioco) era nato sotto i migliori auspici: solo questa modifica in corso d’opera non ne ha pregiudicato la potenzialità. 

E questo vale in ogni fase del percorso: la nostra Buyer ha costante bisogno di avere quello che cerca, e può capitare di aver frainteso un’esigenza o di non averla intercettata nel giusto modo. Con gli strumenti adeguati (come Google Analytics o Search Console), possiamo avere degli alleati preziosi per valutare la bontà e l’efficacia del nostro percorso. 

Insomma, per implementare una strategia di Content Marketing efficace non è necessario rapire, narcotizzare e mettere in pericolo di vita degli ignari cittadini coreani, né organizzare un torneo di tiro alla fune a 30 metri d’altezza. È però indubbio che da Squid Game qualcosa sulle nostre strategie di contenuti possiamo imparare. 

E se facciamo le cose per bene, una seconda stagione sarà quasi sempre assicurata. 

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