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Internazionalizzazione imprese: le sfide 2023 e come vincerle

di Veronica Fumarola - 6 ottobre 2022

In Italia sono tante le realtà che portano avanti attività di import-export, ma poche le imprese che possono definirsi multinazionali, ovvero aziende con almeno una sede in un paese straniero. L’internazionalizzazione delle imprese (l’apertura a nuovi mercati e quindi la creazione di rapporti con altre imprese, i consumatori e le istituzioni del territorio) è un processo complesso, una scelta che richiede tempo, valutazioni e ricerche, oltre a una solidità finanziaria e alla disponibilità di un capitale da investire.

Per avviare un progetto di internazionalizzazione, infatti è necessaria una fase inziale di analisi, che può durare mesi, a volte anche anni; all’analisi segue lo studio approfondito dei mercati di destinazione, poi dell’impresa, per capire il suo livello di preparazione e se è realmente pronta per un processo di internazionalizzazione; infine, del business model che si vuole avviare, per capirne la reale fattibilità del programma nei paesi in cui si desidera entrare.

Questi sono i primi passi da compiere per sviluppare un business plan e valutare quanti e quali risorse investire nel progetto, ma quali sfide bisogna affrontare nel percorso?

 

 

I fattori da considerare per l’internazionalizzazione delle imprese

Lungo la strada che conduce allo sbarco in nuovi Paesi, ci sono alcuni aspetti e strategie da prendere in considerazione. In primis, la disponibilità al cambiamento. Aprirsi a nuovi mercati, infatti, vuol dire accogliere nuovi modelli di governance e superare l’inerzia del passato.

Poi ci sono le tempistiche. È vero che prima di tuffarsi nel nuovo progetto è importante analizzare, studiare e valutare attentamente, ma una volta raggiunti i prerequisiti, è tempo di agire. In una società che corre veloce come quella in cui viviamo, infatti, i risultati devono essere raggiunti in tempi brevi. Non si può pensare, come avveniva un tempo, di aprire una nuova sede, partire da zero e crescere nel corso degli anni. La soluzione è optare per il modello M&A-Mergers&Acquisition, ovvero Fusioni&Acquisizioni.

Questo modello, però, può generare delle criticità. Entrare in contatto con realtà radicate nel territorio vuol dire confrontarsi con culture e modi di fare diversi rispetto a quello italiano; essere aperti alla diversità e impegnarsi per trovare un punto di incontro per crescere.

In quest’ottica è importante adottare una strategia glocal: individuare una reale customer value proposition e avere sì un atteggiamento e una visione internazionali, ad ampio raggio, ma allo stesso tempo su misura del Paese in cui si opera, perché ogni stato ha un suo vissuto, una sua storia, un suo modo di approcciarsi al mercato.

Si tratta di un aspetto rilevante per l’internazionalizzazione delle imprese: non si può pensare che i modelli che hanno funzionato in Italia siano replicabili tal quali in tutti i paesi. È necessario modificarli, adattarli e, in alcuni casi, costruirli completamente da zero.

A questo punto entra in gioco un altro elemento: l’equilibrio. Una delle sfide più ardue per l’internazionalizzazione dell’azienda è impostare correttamente il modello di controllo, quindi trovare il giusto bilanciamento tra l’autonomia del Paese di destinazione e la sede centrale. Un equilibrio da replicare anche nei rapporti umani. Un’acquisizione vuol dire relazionarsi con altre persone che diventano punto di riferimento per le attività nel mercato locale: è quindi importante condividere la stessa visione, identificare gli stessi fattori-chiave e guardare all’internazionalizzazione come un reale vantaggio.

 

L’internazionalizzazione delle imprese passa anche dal digitale

Dopo aver concluso l’acquisizione, essere entrati in contatto con la nuova cultura e aver stabilito un equilibrio dei rapporti, è necessario passare all’azione. Tra i vari canali da considerare, non c’è solo l’online, ma anche il digitale. La comunicazione digital è uno degli asset della strategia di internazionalizzazione perché il digitale è un reale canale di crescita all’estero. Ecco perché non bisogna sottovalutare la user experience degli utenti online. Anche in questo caso bisogna prendere in considerazione la differenza culturale fra i vari paesi, le diverse abitudini di navigazione e di acquisto. Limitarsi a tradurre il proprio sito dall’italiano nella lingua del o dei paesi di destinazione, quindi, non è sufficiente; è necessaria un’analisi approfondita del target per individuare, per ogni paese, gli elementi su cui far leva per attirare l’attenzione degli utenti e offrire loro una user experience positiva.

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