Comunicazione emotiva

Anche i CEO piangono - perché la comunicazione emotiva funziona anche nel B2B

di Francesco Bertasi - 13 settembre 2022

Dallo studente alla sua prima lezione di Marketing, fino al direttore di una multinazionale, condividiamo tutti una regola generale e inviolabile su questa disciplina: il marketing ha l’obiettivo di risolvere un problema che affligge il proprio pubblico, proponendo un prodotto o un servizio come soluzione. 

Questo ragionamento è, se ci pensiamo, abbastanza lineare: se si rompe una tubatura in casa, chiamo un idraulico, se mi serve un nuovo cellulare, cercherò su internet la soluzione migliore o mi recherò al negozio di elettronica più vicino. 

Ma questa logica “problema – soluzione” è davvero sempre il modo migliore di comunicare? In altre parole, è sempre tutto così semplice? 

 

La comunicazione emotiva nel mondo B2C 

Se non siamo totalmente profani nel mondo del Marketing, risponderemo a questa domanda in modo semplice ed immediato: “No! Non sempre gli utenti sono consapevoli di un problema.” O ancora meglio: “No! La decisione di acquisto spesso non è guidata da una soluzione razionale, quanto più da una decisione fortemente emotiva”. 

Nel mondo B2C è facile trovare infiniti esempi di questo fenomeno: scelgo di acquistare un iPhone piuttosto che un Samsung non solo in base alle caratteristiche tecniche, ma anche in base a come quel prodotto mi fa sentire, a quello che scelgono le persone intorno a me e, più in generale, in base al valore interiore che attribuisco ad una determinata scelta di acquisto. 

Un esempio ancora più impressionante ci arriva da IKEA, il famoso brand di arredamento e oggettistica per la casa: si è stimato che oltre il 60% degli acquisti effettuati nei punti vendita non siano premeditati, ciò significa che, in più della metà dei casi, le persone entrano nei negozi IKEA con un’idea in mente, ma poi finiscono per comprare altro! 

In altre parole, voler vendere comunicando solamente con una logica “problema – soluzione” trascura completamente l’irrazionalità dei processi decisionali umani, basati su complessi schemi interiori fatti di credenze, opinioni, paure e bisogni. 

 

La comunicazione emotiva può funzionare anche nel B2B? 

Se è molto facile comprendere la forte componente emotiva negli acquisti per aziende che parlano direttamente agli utenti finali, diventa più spinoso capirne la veridicità quando gli interlocutori appartengono a sistemi molto più complessi, come nel caso del B2B. 

Per i Marketers B2B, infatti, è fondamentale poter raggiungere i Decision Makers con i loro messaggi, ma questi ultimi sono a loro volta influenzati da gerarchie decisionali, budget e processi burocratici, rendendo molto più “indiretta” la dinamica di comunicazione. 

In questo contesto, può quindi funzionare una comunicazione emotiva? 

Una ricerca di Google, in collaborazione con Motista, ha rivelato che non solo le “connessioni emotive” sono presenti nel mondo B2B, ma addirittura in percentuale maggiore rispetto al B2C, confermando ancora di più la necessità di cambiare la logica classica “problema – soluzione”, a favore di qualcosa di più complesso. 

Come è possibile tutto ciò? 

Se ci pensiamo, la risposta è sempre stata davanti ai nostri occhi. 

Nella complessità degli schemi organizzativi, nella specificità delle soluzioni proposte e delle figure coinvolte, ci siamo dimenticati la più basilare delle nozioni: chi prende decisioni in un’azienda è la stessa persona che, fuori dal lavoro, acquista altri beni. 

Inoltre, se un acquisto sbagliato nel mondo B2C non ha spesso ingenti effetti negativi sulla realtà di una persona, la scelta di un servizio inadatto, o la creazione di una partnership non profittevole, è un rischio incommensurabilmente più grande per un decision maker. 

In altre parole, in questo tipo di transazioni entrano ancora più in gioco elementi come il bisogno di fiducia, il senso di anticipazione, la ricerca di sicurezza: tutte emozioni molto forti e non trascurabili. 

Diventa quindi fondamentale, per un Brand, sapersi proporre non solo come “una valida soluzione”, ma a tutti gli effetti come un insieme di professionisti capaci di guidare un decision maker, e la sua azienda, verso un miglioramento, andando ad individuare le paure e i bisogni di queste figure. 

 

La comunicazione emotiva nel mondo B2B: 3 consigli per metterla in pratica 

Imparata la teoria, si può passare alla pratica. Quali strategie comunicative possono fare la differenza, se si vuole aggiungere una componente emotiva ai propri messaggi? 

1. Portare le supposizioni interiori in superficie.  

Tutti noi, in quanto esseri umani, abbiamo una serie di credenze che ci permettono di vedere il mondo da un determinato punto di vista. 
Applicare questo concetto alla comunicazione B2B significa mettere in luce i valori che stanno dietro alla soluzione che offriamo: l’importanza di un software HR non sarà solo quella di ridurre il tempo impiegato per erogare le buste paga o quella di avere sotto controllo i propri dipendenti, ma bensì di poter dare davvero valore alle persone, che sono il motore primo di un’organizzazione. 
Portando queste assunzioni in superficie, dimostreremo alla nostra audience che parliamo la loro stessa lingua, creando un legame più forte. 

2. Parlare in modo diretto, a poche persone. 

Comunicare attraverso le emozioni significa stabilire un legame diretto con i nostri interlocutori. 
Per farlo è fondamentale saper diversificare, così da parlare in modo chiaro e specifico, evitando messaggi troppo generici. 

3. Conoscere i propri Decision Maker 

Ça va sans dire, è fondamentale avere perfettamente chiaro a chi vogliamo parlare, ma non solo. 
Bisogna conoscere nel dettaglio tutte le caratteristiche intrinseche al ruolo e alla realtà a cui ci rivolgeremo. 
Questo significa trasformare l’analisi della Buyer Persona in un vero e proprio profilo professionale e umano, cesellando le proprie strategie di comunicazione per adattarle al meglio ai suoi bisogni. 


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